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Tutto il resto rosolio (Kadavergehorsam)
E’ il primo dei lavoro su la Kadavergehorsam, è una performance e un video della fine del 2001. Cosa succede: un signore è seduto con le gambe accavallate, non ne vediamo la testa ma tra le mani tiene dei fogli dattiloscritti, c’è da credere che li stia leggendo. E invece ascoltiamo una voce di donna fuori campo, che legge il testo con un chiaro accento tedesco (Mariette Schiltz). Ogni tanto un uomo entra in campo con un bicchiere di acqua in mano, lo porge all’acefalo e poi si inginocchia per scavalcare e riaccavallare le gambe dell’uomo seduto. Riprende il bicchiere vuoto ed esce di scena.
Questa scenetta beckettiana racconta un particolare della vita di Florido D’Orazi quando, malato e costretto in una sedia, il nipote Piero con amore, per dargli un po’ di sollievo, gli scavalcava e riaccavallava le gambe e gli offriva acqua da bere.
Ci sono alcune parole che indubbiamente posseggono un peso specifico di senso ‘aggiunto’, capaci più di altre di raccontare storie, evocare narrazioni, dire: kadavergehorsam, grazie anche ad un’ammaliante estetica fono-grafica, è certamente tra queste. L’analisi etimologica è uno storyboard della civiltà cristiana e occidentale: dall’obbedienza come quella di ‘un corpo morto’ di San Francesco ( Tommaso da Celano) che risponde alla Legge di Dio, al perinde ac cadaver (“allo stesso modo di un cadavere”) di S. Ignazio in riferimento all’ordine gerarchico ecclesiastico (controriforma), fino all’ “obbedienza cadaverica” di Eichmann che descrive lo stato di “cieca obbedienza” del popolo del terzo Reich alla Legge (di Hitler). Un percorso che mostra come il processo di secolarizzazione abbia trasformato un concetto appartenente alla sfera spirituale o religiosa in categoria politica, o meglio, per essere più aderenti alla contemporaneità, lo abbia trasposto in categoria economica. In un mondo plasmato dalla ragione produttiva, dalle leggi del mercato che riducono l’individuo a soggetto economico, in un contesto di liberalizzazione del mercato del lavoro e di competizione selvaggia, l’essere obbediente corrisponde a una condizione senza la quale si è privi dell’accesso. La nuova layout del sistema di produzione, in cui l’informazione assume un ruolo strategico, impone strutturalmente la flessibilità e di conseguenza la precarietà, e ciò vuol dire non più conflittualità ma collaborazione e fedeltà all’impresa secondo una logica servile. Un aspetto servile del lavoro che identificandosi con quello comunicativo fa si che il tempo di lavoro non è più circoscritto e separato dal resto delle attività ma invade l’intera esistenza, dove il ‘lavoro morto’ ha totalmente assorbito a se il ‘lavoro vivo’, mettendo all’opera tutte le ‘risorse umane’, la creatività, la vita. E’ il linguaggio della forma, lo stesso dell’arte, a organizzare la produzione e la distribuzione delle merci. Le immagini, le parole, sono diventate mezzi di produzione, capitale fisso e circolante come le sensazioni, le emozioni, gli affetti; i tribunali – scrive Robert Reich (L’infelicità del successo, Fazi, 2004), consigliere economico e ministro del lavoro per Clinton, – si trovano sempre più spesso di fronte a contenziosi su chi ha inventato che cosa e quando. Calvin Klein, per esempio, afferma che il profumo Romance di Ralph Lauren imita la sua acqua di colonia Eternity. Ma cos’è esattamente un aroma, ed è possibile possederne uno? Un profumo è anche uno stato d’animo, un’immagine, uno stile. Come estrarlo da tutto ciò che lo circonda e trasformarlo in una proprietà?. Il general intellect, quella conoscenza diffusa, che alimentandosi di solo lavoro vivo si sottraeva alla cristallizzazione in capitale fisso, oggi è capitalizzato, ridotto a lavoro morto non fissato nelle macchine ma nella comunicazione trasformata in una sorta di catena di montaggio linguistica. Oggi si producono merci a mezzo di linguaggio, meglio, si produce ricchezza a “mezzo di comunità” perché essa si identifica con il concetto di lavoro linguistico; ma se il carattere di feticcio della merce è dato, come nell’analisi marxista, dal nascondimento, dall’invisibilità, nello scambio delle cose (merci), dei rapporti sociali di produzione, e se oggi è la stessa comunità, la società dei cittadini-consumatori che creano e veicolano valore in quanto parlanti, allora sono gli stessi rapporti sociali ad avere il carattere di feticcio. Ecco, Kadavergehorsam è l’immagine mortifera di una comunità linguistica che riproduce se stessa in quanto società inesorabilmente capitalistica, è una direct sul pensiero unico, un fotogramma neorealista che descrive un paesaggio desolante, antibiotico, un frame che testimonia l’assoggettamento cadaverico alla logica economicistica. Un grido d’attenzione perché il progetto neoliberista ha raggiunto una sofisticazione tale che ai più sfugge il carattere totalitario e ideologico così mistificato da una presunta naturalità del linguaggio. Kadavergehorsam è un segno per non dimenticare mai che il capitale ha un unico impulso vitale, quello di generare plusvalore, di assorbire la più grande massa di plusvalore che sia possibile attraverso il lavoro morto sottratto (al lavoro vivo) alla vita. Ripeto alla vita.
Kadavergehorsam è un canovaccio situazionista che aspira essere stimolo di riflessione, di ricerca e d’azione in una prospettiva necessariamente rivoluzionaria della “trasformazione della quantità in qualità”, che tenga sempre in mente l’essenza ultima dell’umano che è quella della ‘libera creazione’, ri-pensando quella “natura umana” che non può essere solo ‘economica’, ri-partendo da l’unico elemento utopistico del marxismo e scopo della rivoluzione, di emancipare l’uomo dal lavoro. La-liberazione-dal-lavoro appunto, il solo capace di connettere un pensiero critico, pertinente e libertario da troppo tempo in stand by, l’unico capace di prospettare un mondo nuovo, sociale e creativo….Tutto il resto è rosolio.
(m.f.)
E’ il primo dei lavoro su la Kadavergehorsam, è una performance e un video della fine del 2001. Cosa succede: un signore è seduto con le gambe accavallate, non ne vediamo la testa ma tra le mani tiene dei fogli dattiloscritti, c’è da credere che li stia leggendo. E invece ascoltiamo una voce di donna fuori campo, che legge il testo con un chiaro accento tedesco (Mariette Schiltz). Ogni tanto un uomo entra in campo con un bicchiere di acqua in mano, lo porge all’acefalo e poi si inginocchia per scavalcare e riaccavallare le gambe dell’uomo seduto. Riprende il bicchiere vuoto ed esce di scena.
Questa scenetta beckettiana racconta un particolare della vita di Florido D’Orazi quando, malato e costretto in una sedia, il nipote Piero con amore, per dargli un po’ di sollievo, gli scavalcava e riaccavallava le gambe e gli offriva acqua da bere.