The judgment universal of kings

The judgment universal of kings
2019 mauro

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Il giudizio universale dei re

 

Profezia in un atto, in prosa

Maréchal, Pierre-Sylvain 1793

 

traduzione di Francesca Gallo e Mauro Folci

 

 

La libera traduzione in italiano si basa sull’edizione francese edita da Gwénola, Ernest et Paul Fiévre, ottobre 2015. collana Theatre Classique.

 

Introduzione

L’incontro con Il Giudizio universale dei Re e il suo autore, Pierre Sylvain Maréchal, è stato del tutto fortuito, è capitato per caso, vagando per diverse vie alla ricerca di storie da narrare a sostegno della tesi che vado cucendo sulla vendetta rivoluzionaria, di cui la presente pubblicazione è il primo resoconto. Sulle tracce di alcune storie di rivolte contadine e proletarie nell’Europa del Trecento, passando per le rivolte francesi della Jacquerie, mi sono ritrovato naturalmente tra i sanculotti di cinque secoli più tardi, e qui ho fatto conoscenza di Maréchal: scrittore e poeta, protagonista della Rivoluzione francese. Un personaggio interessante, un socialista rivoluzionario, un fervente anticlericale, un precursore del comunismo che redasse il Manifesto degli Eguali (1796) con Gracco Babeuf, con il quale prese parte attivamente alla fallimentare congiura degli Eguali. Maréchal, che curiosamente in tarda età manifesta un carattere misogino, si batteva per una uguaglianza reale e non virtuale come quella scritta sulle carte costituzionali che egli criticava aspramente, per l’abolizione della proprietà privata e per l’uso comune dei beni.

Del Giudizio universale dei Re, testo teatrale dal titolo eloquente, la cui prima rappresentazione ebbe luogo il 18 ottobre del 1793, a pochi giorni dall’esecuzione di Maria Antonietta, non dico nulla, dice tutto e chiaramente da sé: l’isola deserta, il vulcano, il buon selvaggio non hanno bisogno di spiegazioni. Riporterò invece una testimonianza diretta di un attore “nero” emarginato ovviamente dall’egemonia del teatro della rivoluzione, schifato, ma stranamente affascinato, dalle orde di proletari pezzenti, sporchi di terra e di sangue che affollano rumorosamente le sale dei teatri, prima di allora luoghi dell’aristocrazia e della borghesia: “ogni sera eravamo sottoposti ad una autentica tortura […]. I Picchia-duro facevano un baccano d’inferno in platea, cantando (o, meglio, grugnendo) canti patriottici alla faccia degli spettatori meno turbolenti […]. Con le vesti lacere, sporchi di fango e talvolta di sangue, offrivano una vista spaventosa, che pure, ai miei occhi, sembrava non mancare di una certa selvaggia grandiosità […]. Parevano un’orda di barbari che avesse invaso di colpo la Francia. Andavano e venivano per bande, spesso accompagnati da donne del loro partito, ancora più terribili di essi, se mai fosse stato possibile. Quelle d’una certa età solevano chiamarsi Ricamatrici; le giovani, furie della ghigliottina. Da parte mia, quando vidi per la prima volta i picchia-duro scatenarsi nelle loro barbare danze […], credetti che mi fossero comparse davanti, in carne ed ossa, le legioni maledette di Satana […]. questo era, dopo la catastrofe del 10 agosto, il pubblico che affollava le platee.”(tratto da: Teatro e spettacolo nel Settecento , di Roberto Tessari)

Ai musi sporchi di tutto il mondo dedico questo lavoro.

Mauro folci

 

Il giudizio universale dei re

                                             Profezia in un atto, in prosa                                                Maréchal, Pierre-Sylvain

 

A Parigi, presso la stamperia di C.F. Patris, stampatore della Com. rue du Faubourg Saint-Jacques, davanti Dames Sainte-Marie.

Anno II della Repubblica Francese, una e indivisibile

 

Avviso ai direttori di spettacoli dei Dipartimenti.

L’autore, sottoscritto, si riserva i diritti che un decreto della convenzione nazionale gli riserva, sulle rappresentazioni del suo testo, dai differenti teatri della repubblica.
Nota. I passaggi del testo, tra virgolette, non si recitano a teatro.

 

L’autore del Giudizio Universale dei Re, agli spettatori della prima rappresentazione dell’opera.

Cittadini, ricordate come, in passato in tutti i teatri si avviliva, degradava, ridicolizzava indegnamente le classi più rispettate del popolo sovrano, per far ridere i re e i loro valletti di corte. Ho pensato che era giunto il tempo di rendergli la pariglia, e di divertirci a nostra volta. Molte volte questi signori hanno gettato il ridicolo sul proprio avversario; ho pensato che era il momento di consegnarli al pubblico ludibrio, e di parodiare così un verso felice della commedia del cattivo: I re sono qui per i nostri piaceri minuti. (Gresset) Ecco il motivo dei luoghi un po sporchi del Giudizio universale dei re.

(estratto dal giornale delle Rivoluzioni di Parigi, di Prud’homme, tomo XVII, pagina 109, in – 80).

 

Costumi dei personaggi.

L’Imperatrice: corsetto cangiante d’oro, maniche a sbuffo; giubba di taffetà blu, ornata di un giro di punti di Spagna o merletto d’oro; mantella di Satin o taffetà rosso, guarnito tutto intorno come la giubba; girocollo di lino come collare; patacca attaccata sulla cesarina del mantello; corona di paglia dorata; tocco di taffetà blu.

Il papa: sottane e mozzetta di lana, scarlatta o bianca; tunica di lino, tela di merletto ; guanti bianchi; scarpe bianche con una doppia croce d’oro in mezzo al piede; tiara con tre corone, la tiara di satin rosso e le corone in oro; berretto dello stesso satin, fin sulle orecchie, e ornata di pelo bianco; stola e maniglia.

Il re di Spagna: abito spagnolo, mantello, astuccio, pantalone, e pezzi di scarpe, il tutto rosso; un grande naso posticcio di taffetà di color carne; corona cangiante oro arricchita di pietre; tre cordoni: un papavero dell’ordine del vello d’oro; il secondo blu cielo con una medaglia; il terzo di velluto nero con medaglia.

L’Imperatore: abito blu con gallone d’oro; cordone dell’ordine dell’Impero; un altro cordone bianco bordato di due linee rosse a spalla; sciarpa rossa, appoggiata sull’abito; corona cangiante oro; veste, culotte e calze bianchi.

Il re di Polonia: il gilet con maniche di velluto nero; mantello con piccole maniche a sbuffo di velluto nero, simile al gilet: sul mantello una bordatura di pelo bianco; pantalone di maglieria di seta cremisi; cordone dell’ordine, di velluto nero bordato d’oro; un secondo cordone a spalla, blu cielo, con un ordine qualsiasi.

Il re di Prussia: abito blu scuro, tutto abbottonato; grande cappello a tre corni; piuma e coccarda nera; punto di Spagna in oro attorno al cappello; culotte gialla; stivali da equitazione; pettinato con la coda; sciarpa di satin bianco con frangia d’oro.

Il re d’Inghilterra: abito blu scuro con bottoni d’oro o di rame; veste simile; ventre posticcio per ingrassarlo; stivali da equitazione; giarrettiere dell’ordine Honni che pensa male, e una patacca dello stesso ordine.

Il re di Napoli: gilet spagnolo a crepacci; camicetta di lino; astuccio simile al gilet; mantello spagnolo, cordone rosso con una medaglia pendente e un secondo cordone pendente, di velluto nero, bordato d’oro.

Il re di Sardegna: abito completo da Finanziere; cordone dell’ordine pendente; patacca attaccata all’abito; corona di ermellino.

Un selvaggio:(ruolo parlante): pantalone e gilet di maglia di seta, evidentemente tigrati; sandali allacciati; parrucca e barba grigia.

Otto selvaggi:(personaggi muti): faretra e frecce.

Dieci sanculotti: con i costumi del paese di ciascuno dei re che conducono incatenati per il collo, cioè un sanculotto spagnolo, tedesco, italiano, napoletano, polacco, prussiano, russo, sardo, inglese e francese.

Un gran numero di persone armate di sciabole, fucili e picche, tutti vestiti da sanculotti francesi. Un barile riempito di gallette.

 

Personaggi

Un anziano francese Monvel.
Selvaggi di tutte le età e generi.
Un sanculotto di ciascuna nazione d’Europa. I re d’Europa, compreso
Il papa Dugazon.
La zarina Michot.
L’imperatore Raymont.
Il re d’Inghilterra.
Il re di Prussia.
Il re di Napoli.
Battista il giovane.
Il re di Sardegna.
Il re di Polonia Grand-Mesnil.

 

La scena è a Parigi, nella casa di Dorante.

Profezia in un atto.

Il teatro rappresenta l’interno di un’isola per metà occupata da un vulcano. In profondità, o sullo sfondo, una montagna getta delle fiamme di tanto in tanto durante tutta l’azione fino alla fine. Su un lato del proscenio, qualche albero fa ombra su una capanna riparata dietro una grande roccia bianca, sulla quale si legge questa iscrizione, scritta con il carbone: “è meglio avere per vicino un vulcano che un re. Libertà… uguaglianza”. Di seguito sono riportati diversi numeri. Un ruscello scende a cascata di fianco alla capanna. dall’altro lato la vista del mare. Il sole sorge dietro la roccia bianca durante il monologo del vecchio, che aggiunge un numero a quelli già scritti da lui.

Scena I

il vecchio. (conta)
1, 2, 3… 19, 20. ecco precisamente oggi 20 che sono rilegato su quest’isola deserta. Il despota che ha firmato la mia espulsione è forse morto ormai… li giù, nella mia povera patria, mi si crede bruciato dal vulcano, o straziato dai denti di qualche bestia feroce, o mangiato dagli antropofagi. Il vulcano, gli animali carnivori, i selvaggi, sembrano aver rispettato fino ad oggi la vittima di un re… i miei buoni amici tardano ad arrivare: il sole tuttavia è sorto!… cosa sento?… non sono le loro canoe ordinarie… una scialuppa!… si avvicina a remi. Dei bianchi… europei!… se fossero dei miei compatrioti, dei francesi… verrebbero forse a cercarmi… il tiranno sarà morto; e il suo successore, per ottenere il favore del popolo, come avviene per tutti gli eventi della corona, avrà concesso la grazia a qualche vittima innocente del regno precedente… non voglio affatto la clemenza di un despota: resterò, morirò in questa isola vulcanica, piuttosto che ritornare sul continente finché ci saranno re e preti. Nascosto dietro questa roccia bisogna e che io sappia cosa tutte queste persone vogliono qui.

Scena II

Dodici o quindici sanculotti, uno da ciascuna nazione d’Europa.
(sbarcano).

Il sanculotto francese.                                                                                    Vediamo se quest’isola fa al caso nostro. È la terza che visitiamo: sembra essere stata vulcanica, ed esserlo ancora. Tanto meglio! Il globo sarà liberato da tutti i briganti coronati di cui ci ha affidato la deportazione.

l’inglese.                                                                                                                       Mi sembra che staranno molto bene qui. La mano della natura si affretterà a ratificare, a sanzionare il giuramento dei sanculotti contro i re, questi scellerati a lungo privileggiati e impuniti.

Lo spagnolo.                                                                                                              Che essi provino qui tutti i tormenti dell’inferno, al quale non credono, e di cui predicano a noi i preti, loro complice, per istupidirci.

Il francese.                                                                                                      Compagni! quest’isola sembra abitata… notate questi passi umani?

Il sardo.                                                                                                            All’entrata di questa caverna, eco dei frutti appena raccolti.

Il francese.                                                                                                   Amici! Venite! Venite dunque; leggete: “è meglio avere per vicino un vulcano che un re”.

Diversi sanculotti insieme.                                                                                  Bravo! Bravo!

Il francese.                                                                                                (continua a leggere) Libertà… uguaglianza. Qui c’è qualche martire dell’antico regime. Incontro fortunato!

l’inglese.                                                                                                            Oh! siamo capitati bene! Chi soffre in questo luogo non si aspetta di trovare oggi i suoi liberatori.

Il francese.                                                                                                          Lo sfortunato non sa nulla: sarà morto, senza apprendere della libertà del suo paese.

Il tedesco.                                                                                                                E di tutta Europa. Non deve essere lontano: cerchiamolo! Andiamogli incontro.

Il francese.                                                                                                            No vedo l’ora di incontrarlo! È senza dubbio uno dei nostri; e a giudicare dalle sante parole che ha tracciato su questa roccia, è degno della grande Rivoluzione, poiché l’ha saputa presentire in quest’angolo del mondo.

Scena III

Gli attori precedenti e il vecchio.

Diversi sanculotti. (tutti assieme).                                                                  Buon vecchio!… venerabile vecchio!… che fai qui?

Il vecchio.                                                                                                          Dei francesi!… o giorno felice!… è così tanto tempo che non vedo dei francesi!… amici miei! Figli miei! Cosa cercate?… ma prima di tutto, un naufragio vi ha forse gettato su questa costa; avete bisogno di cibo? Non ho da offrirvi che questi frutti, e l’acqua di questa sorgente. La mia capanna è troppo piccola per contenervi tutti assieme. Non aspettavo una compagnia così numerosa e bella.

Il francese.                                                                                                  Nostro buon papà, non abbiamo bisogno di nulla. Abbiamo bisogno solo di ascoltarti, di conoscere la tua storia; poi, ti racconteremo la nostra.

Il vecchio.                                                                                                            In due parole eccola: sono francese, nato a Parigi. Abitavo una piccola proprietà accanto al parco di Versailles. Un giorno, la caccia passa dalla mia parte; il cervo è spinto fin dentro il mio giardino. Il re e tutto il seguito entrano da me. Mia figlia, grande e bella viene notata da tutti questi signori della corte. l’indomani, me la tolgono… corro al castello a reclamare mia figlia; mi si deride: mi si respinge: mi si caccia. Non demordo: con le lacrime agli occhi, mi getto ai piedi del re al suo passaggio. Gli vengono dette delle parole sul mio conto all’orecchio; mi fa degli sberleffi sotto il naso, e dà ordine che mi si faccia ritirare. La mia povera moglie non ottiene di più; muore di dolore. Torno al castello. Racconto la mia pena a tutti. Nessuno vuole immischiarsi. Domando di parlare alla regina; la afferro per il vestito, appena esce dai suoi appartamenti. Ah! Dice, è questa persona noiosa. Quando gli si vieterà la mia presenza? Vado dai ministri, alzo la voce; parlo come uomo, come padre. Uno di essi, un prelato, non mi risponde; ma fa un segno: mi si arresta sulla porta del suo studio; mi si cala in prigione, da dove esco per essere gettato in fondo a una nave che, strada facendo, mi lascia su quest’isola, oggi sono precisamente 20 anni. Ecco, amici miei, la mia avventura.

Il sanculotto francese.                                                                                  Ora ascolta tu e apprendi che sei ben vendicato. Dirti tutto sarebbe troppo lungo. Ecco l’essenziale: buon vecchio! Hai davanti a te un rappresentante di ciascuna nazione d’Europa divenuta libera e repubblicana: perché bisogna che tu sappia che non ci sono più del tutto re in Europa.

Il vecchio.                                                                                                              È vero? È possibile?… vi prendete gioco di un povero vecchio.

Il sanculotto francese.                                                                                  Dei veri sanculotti onorano la vecchiaia, e non se ne prendono gioco affatto… come facevano precedentemente i piatti cortigiani di Versailles, di Saint-James, di Madrid, di Vienna.

Il vecchio.                                                                                                      Come! Non ci sono più re in Europa?…

Un sanculotto.                                                                                                      Li vedrai sbarcare tutti qui; ci seguono (a loro volta, come hai fatto tu) sul fondo di una piccola fregata armata che noi precediamo per preparargli le abitazione. Li vedrai tutti qui, uno escluso.

Il vecchio.                                                                                                              E perché questa eccezione? Non sono mai stati uno migliore dell’altro.

Il sanculotto.                                                                                                      Tu hai ragione… eccetto uno, perché lo abbiamo ghigliottinato.

Il vecchio.                                                                                      Ghigliottinato!… che vuol dire?…

Il sanculotto.                                                                                                        Ti spiegheremo questo e molte altre cose: gli abbiamo tagliato la testa, per legge.

Il vecchio.                                                                                                               I francesi sono dunque divenuti uomini!

Il sanculotto.                                                                                                Uomini liberi. In una parola, la Francia è una repubblica nel senso pieno del termine… il popolo si è sollevato. Ha detto: non voglio più re; e il trono è scomparso. Ha detto ancora: voglio la repubblica, ed eccoci tutti repubblicani.

Il vecchio.                                                                                                          Non avrei mai osato sperare in una simile rivoluzione: ma la concepisco. Avevo sempre pensato, da parte mia, che il popolo, tanto potente quanto il Dio che prega, non ha che da volere… come sono felice di aver vissuto abbastanza da apprendere un così grande avvenimento! Ah! Amici miei! Fratelli, figli! Sono rapito!… ma fin ora non mi avete parlate che della Francia; e mi sembra, se ho capito bene, l’Europa intera è liberata dal contagio dei re?

Il tedesco.                                                                                                    l’esempio dei francesi ha fruttificato: non senza dolore. Tutta Europa si è alleata contro di loro, non contro i popoli, ma contro i mostri che se ne dichiaravano impudentemente i sovrani. Hanno armato tutti i loro schiavi; hanno messo in opera tutti i mezzi per realizzare questa nuova libertà che Parigi aveva formato. Si è subito indegnamente calunniata questa nazione generosa che, per prima, ha fatto giustizia del suo re: la si è voluta moderare, federalizzare, affamare, schiavizzarla ancora di più, per disgustare per sempre gli uomini del regime d’indipendenza. Ma a forza di meditare sui sacri principi della rivoluzione francese, a forza di leggere i tratti sublimi, le virtù eroiche alle quali essa ha dato luogo, gli altri popoli hanno detto: ma siamo così ingannati da lasciarci condurre al macello come montoni, o da lasciarci portare al guinzaglio come cani da caccia contro il toro. Fraternizziamo piuttosto con i nostri antenati in ragione, in libertà. Di conseguenza, ogni sezione dell’Europa inviò a Parigi dei bravi sanculotti, incaricati di rappresentarla. In questa assemblea di tutti i popoli, si è convenuto che un certo giorno, tutta Europa si sollevasse in massa… e si emancipasse… in effetti, un’insurrezione generale e simultanea è scoppiata in tutte le nazioni d’Europa; ciascuna di esse ebbe il suo 14 luglio e 5 ottobre 1789, il suo 10 agosto e 21 settembre 1792, il suo 30 maggio e 2 giugno 1793. ti renderemo istruito su queste epoche, le più stupefacenti di tutta la storia.

Il vecchio.                                                                                                          Che meraviglia!… per il momento, soddisfacete la mia impaziente curiosità su un punto soltanto. Vi sento sempre ripetere la parola sanculotto; cosa significa questa espressione originale e piccante?

Il sanculotto francese.                                                                                    Te lo dico io: un sanculotto è un uomo libero, un patriota per definizione. La massa del vero popolo, sempre buono e sano, è composto da sanculotti. Sono dei cittadini puri, vicini al bisogno, che mangiano il pane del sudore della loro fronte, che amano il lavoro, che sono buoni figli, buoni padri, buoni sposi, buoni genitori, buoni amici, buoni vicini, ma che sono gelosi dei loro diritti tanto quanto dei loro doveri. Fino ad oggi, errore di comprensione, essi non sono stati che strumenti ciechi e passivi nelle mani dei cattivi, vale a dire dei re, dei nobili, dei preti, degli egoisti, degli aristocratici, degli uomini di stato, dei federalisti, persone di cui ti spiegheremo, saggio e sfortunato vecchio, le massime e i forfaits. Incaricati da tutto l’alveare, i sanculotti non vogliono più soffrire ormai, sopra o tra loro, calabroni sciolti e maligni, orgogliosi e parassiti.

Il vecchio (con entusiasmo).                                                                          Fratelli, figli, anch’io sono un sanculotto!

L’inglese. (riprende il racconto)
Ogni popolo, lo stesso giorno, ha dichiarato la repubblica e costituito un governo libero. Ma contemporaneamente si propose di realizzare una Assemblea europea a Parigi, capoluogo dìEuropa. Il primo atto di questa fu la proclamazione del giudizio universale dei re già rinchiusi nelle prigioni dei loro castelli. Sono stati condannati alla deportazione su un’isola deserta, dove saranno guardati a vista sotto la responsabilità di una piccola flotta che ogni repubblica a turno manderà in crociera fino alla morte dell’ultimo di questo mostri.

Il vecchio.                                                                                                            Ma, ditemi vi prego, perché vi siete dati la pena di portare tutti questi re fin qui? Sarebbe stato più rapido impiccarli tutti allo stesso momento sotto il portico dei loro palazzi.

Il sanculotto francese.                                                                                  No, no! Il loro supplizio sarebbe stato troppo dolce e sarebbe finito troppo presto: non si sarebbe raggiunto lo scopo che ci si proponeva. È sembrato più utile offrire all’Europa lo spettacolo dei suoi tiranni detenuti in un serraglio e divorandosi gli uni gli altri, non potendo saziare la loro rabbia sui coraggiosi sanculotti che osavano chiamare i loro sudditi. É bene dargli il tempo di rimproverarsi a vicenda per i loro crimini e punirsi con le proprie mani. Tale è il giudizio solenne e definitivo che è stato pronunciato contro di loro all’unanimità, e che mettiamo in atto su questi mari.

Il vecchio.                                                                                                                    Mi rendo conto.

Un sanculotto.                                                                                              Adesso che grosso modo hai compreso i fatti, dicci, buon vecchio, quest’isola che tu abiti da vent’anni, ti sembra adatta a depositarvi il nostro carico di cattiva mercanzia?

Il vecchio.                                                                                                        Amici miei, quest’isola è totalmente disabitata. Quando vi fui gettato, era mattina: non incontrai nessun essere vivente per tutto il corso della giornata; la sera una piroga attracco in questa piccola rada. Ne scesero diverse famiglie di selvaggi di cui io ebbi paura inizialmente. Non gli rendevo giustizia: dissiparono i miei timori con un’accoglienza ospitale, e promisero di portarmi ogni sera i loro frutti, la loro caccia e la loro pesca: poiché venivano tutti i giorni, al tramonto, su quest’isola, per celebrare un culto religioso al vulcano che vedete. Senza contrariare la loro credenza, li invitai a dividere almeno i loro omaggi tra il vulcano e il sole. Essi non mancarono di ritornare all’alba, tre giorno dopo, per vedere il fenomeno di cui gli avevo parlato, e al quale non avevano mai prestato attenzione nelle loro capanne piene di fumo. Li collocai su questa roccia bianca; e feci loro contemplare il sorgere del sole dal mare in tutto il suo splendore: quello spettacolo li ha estasiati. Da quel momento, non passa settimana senza che essi vengano ad adorare l’alba. Inoltre da quel momento, essi mi guardano e mi trattano come un padre, un medico, un consigliere; e grazie a loro non mi manca nulla in questa solitudine selvaggia. Una volta volevano per forza riconoscermi come loro re: ho spiegato loro meglio che potei la mia disavventura laggiù, e essi giurarono nelle mie mani di non avere mai dei re, ne dei preti. Ritengo che quest’isola risponda perfettamente alle vostre intenzioni; sopratutto perché da qualche settimana il cratere del vulcano si è molto allargato e sembra minacciare un’eruzione imminente. È meglio che essa avvenga su delle teste coronate che su quelle dei miei buoni vicini, i selvaggi, o dei miei fratelli i coraggiosi sanculotti.

Un sanculotto.                                                                                      Compagni, che ne dite? Credo che abbia ragione: facciamo segno alla flotta affinché ci raggiunga qui, e che vi vomiti i veleni di cui è carica.

Il vecchio.                                                                                                  Intravedo i miei buoni vicini; abbassate le vostre picche davanti a loro in segno di fratellanza; li vedrete depositare le loro armi ai vostri piedi. Non conosco affatto la loro lingua; essi ignorano la nostra: ma il cuore è di tutti i paesi: ci parleremo attraverso i gesti, ci comprenderemo perfettamente.

Delle famiglie selvagge scendono dalle loro piroghe. Il vecchio le presenta ai sanculotti d’Europa. Si fraternizza; ci si abbraccia: il vecchio si arrampica sulla sua roccia bianca, rende omaggio al sole con i frutti che gli hanno donato i selvaggi, in ceste di vimini abilmente lavorate. Dopo la cerimonia, il vecchio comunica con loro a gesti e li mette al corrente. I re sbarcano: entrano in scena uno a uno, lo scettro in mano, e il mantello reale sulle spalle, la corona d’oro in testa, e al collo una lunga catena di ferro di cui un sanculotto tiene la fine.

Scena VI

Gli attori precedenti, famiglie selvagge.

Il vecchio.                                                                                                Coraggiosi sanculotti, questi selvaggi sono i nostri antenati in libertà: poiché non hanno mai avuto dei re. Nati liberi, vivono e muoiono come sono nati.

Scena V

Gli attori precedenti, i re d’Europa.

Un sanculotto tedesco (conducendo l’imperatore che apre il corteo).
Posto a sua maestà l’imperatore… non gli manca che il tempo e il genio per consumare tutti i crimini commessi dalla casa d’Austria, e per portare a compimento i mali che Giuseppe II e Antonietta volevano e fecero alla Francia. Flagello dei suoi vicini, lo fu anche per il suo paese di cui spogliò la popolazione e le finanze. Fece languire l’agricoltura, ostacolò il commercio, incatenò il pensiero.                                                                                     (Scuotendo la catena)
Non avendo avuto la parte principale nella spartizione della Polonia, in compenso ha devastato i confini di una nazione di cui temeva le luci e l’energia. Falso amico, alleato perfido che fa il male tanto per farlo; è un mostro.

Francesco II.                                                                                        Scusatemi; non sono affatto il mostro che mi si crede. È vero che la Lorena mi tentava: ma la Francia non fu fin troppo felice di accettare la pace e il buon ordine in cambio di una provincia? Non ne aveva già avuto abbastanza? Inoltre, se c’è qualcuno da incolpare, è il vecchio Kaunitz che abusò della mia giovinezza, della mia inesperienza: è Koubourg, è Brunswick.

Il sanculotto tedesco. (Allentando la catena)
Dì, la tua brutta anima, il tuo cattivo cuore… finisci qui di vivere, separato per sempre dalla specie umana, di cui tu e i tuoi pari per troppo tempo siete stati la vergogna e il supplizio.

Un sanculotto inglese. (conducendo il re d’Inghilterra al guinzaglio di una catena).                                                                                                              Ecco sua maestà il re d’Inghilterra che, aiutato dal genio machiavellico del signor Pitt, spremette la borsa del popolo inglese, e accrebbe ancora di più il debito pubblico per organizzare in Francia la guerra civile, l’anarchia, la carestia e peggio di tutto ciò il federalismo.

George.                                                                                                                Ma non ero in me, lo sapete. Punite un folle? Lo si mette in ospedale.

L’inglese (allentando la catena).                                                                            Il vulcano ti darà ragione.

Un sanculotto prussiano.                                                                          Ecco sua maestà re di Prussia: come il duca di Hannover, una bestia selvaggia e subdola, vittima dei ciarlatani, carnefice di brave persone e di uomini liberi.

Guglielmo.                                                                                                            Il modo come voi agite verso di me è ingiusto. Dovreste conoscermi veramente: non ho mai avuto il genio militare di mio zio; mi occupavo più degli illuministi che dei francesi. Se i miei soldati hanno fatto un po di male, glielo si è reso. Lascia perdere: tanti i morti che i feriti, da una parte e dall’altra, tutto è compensato.

Il prussiano.                                                                                                    Ecco i sentimenti e il linguaggio di un re. Mostro! Espia qui tutto il sangue che hai fatto versare nelle piane della Champagne, davanti a Lille e Mayence.

Un sanculotto spagnolo.                                                                                Ecco sua maestà re di Spagna. È proprio sangue Borbone: vedete come il sotterfugio, l’ipocrisia e il dispotismo sono impressi sulla sua faccia reale.

Charles.                                                                                                               Ne convengo, non sono che uno stolto, che i preti e mia moglie hanno sempre menato per il naso; così, fatemi la grazia.

Un sanculotto napoletano.                                                                       Ecco l’ipocrita coronato di Napoli. Ancora qualche anno, e avrebbe fatto in Europa più devastazioni del Vesuvio che aveva sulla soia di casa.

Ferdinando re di Napoli.                                                                     Vulcano per vulcano potevate lasciarmi laggiù. Sono stato l’ultimo ad aderire alla lega. Fu necessario alla fine che mi schierassi con i miei confratelli regnanti. Non bisognava ululare con i lupi?

Un sanculotto sardo.                                                                                   Ecco in questa cassa sua maestà addormentata Vittorio- Amedeo-Maria di Savoia, re delle marmotte. Più stupido di queste, una volta ha voluto fare il malvagio; ma noi lo abbiamo immediatamente rimesso in guardiola. Amedeo, sbrigati a dormire. Ho proprio paura per te che il vulcano non ti permetterà di completare i tuoi sei mesi di sonno.

Il re di Sardegna. (uscendo dalla sua cassa, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi).
Ho fame… ah! Ah! dov’è il cappellano per dire la mia preghiera prima dei pasti.

Il sardo.                                                                                                      Piuttosto recita le tue grazie… vai! (Spingendolo).
Ecco in cosa sono bravi tutti questi re: bere, mangiare, dormire quando non possono fare del male.

Caterina entra in scena, facendo dei grandi passi, delle grandi falcate.

Un sanculotto russo.                                                                            Andiamo dunque, tu fai delle moine, credo… ecco sua maestà imperiale, la Zarina di tutte le russie; altrimenti, Signora della falcata; o se preferite la Catau, la Semiramis del nord: donna al di sopra del suo sesso, poiché non ha mai conosciuto né le virtù né il pudore. Senza costumi e senza vergogna, fu l’assassina di suo marito, per non avere compagno sul trono, e per non perdere il suo letto impuro.

Un sanculotto polacco.                                                                                 Tu, Stanislao-Augusto, re di Polonia, andiamo, in fretta! Porta lo strascico della tua padrona Catau, di cui fosti costantemente l’ultimo dei valletti.

Un sanculotto. (Tenendo in mano le catene attaccate al collo di molti re). Tenete! Ecco il fondo del barile, è la minutaglia: non merita neppure di essere nominata.

Il vecchio fa da intermediario ai selvaggi, davanti ai quali sfilano i re. traduce nella lingua dei segni ciò che viene detto man mano che i re compaiono sulla scena. I selvaggi di volta in volta fanno segno di stupore e indignazione.

Un sanculotto romano (che conduce il Papa).
In ginocchio, scellerate teste coronate! Per ricevere la benedizione del santo padre: poiché non c’è che un prete capace di assolvere i vostri misfatti di cui fu il complice e il perfido agente. Eh! In quale trama odiosa, in quale intrigo criminale i preti e i loro capi non hanno preso parte, non hanno giocato un ruolo? E questo mostro dalle tripla corona che sottobanco provocò una crociata assassina contro i francesi, come già i suoi predecessori ne avevano consigliata una contro i Saraceni. Dopo i re, i preti sono coloro che fecero più male alla terra e alla specie umana. Grazia, grazia immortale sia resa al popolo francese, che per primo, tra i moderni, ricordò il patriottismo di Bruto e smascherò la truffa degli auguri. I francesi fecero vergognare i romani dell’incenso che essi offrirono ai piedi di un prete in Campidoglio, laddove l’ambizioso Cesare fu pugnalato da mani virtuose e repubblicane.

Il Papa.                                                                                                                Ah! Ah! Voi esagerate… ditemi un solo dei miei predecessori che abbia dato prova di una moderazione pari alla mai. Con il loro esempio, avrei potuto interdire tutto il regno di Francia…

Il sanculotto francese. (interrompendolo).                                                    Dì la Repubblica.

Il Papa.                                                                                                          Ebbene, sia la Repubblica! La Repubblica. Avrei potuto lanciare sulla testa di tutti i francesi la vendetta del cielo; mi sono accontentato di congiurare contro di loro tutte le potenze della terra. Un prete poteva fare meno? Ascoltatemi; fatemi la grazia; per il resto della mia vita pregherò Dio per i Sanculotti.

Il sanculotto romano.                                                                                   No, no, no; non vogliamo più le preghiere di un prete: il Dio dei Sanculotti è la libertà, è l’uguaglianza, è la fraternità! Non conosci e non conoscerai mai queste divinità. Piuttosto vai a esorcizzare il vulcano che fra poco ti punirà e ci vendicherà.

Un sanculotto francese. (Dopo aver fatto sistemare in semicerchio tutti i re e prima di abbandonarli).
Mostri coronati! Avreste dovuto morire mille volte sotto la ghigliottina: ma dove si sarebbero trovati tanti esecutori che avrebbero acconsentito a lordare le loro mani nel vostro sangue vile e corrotto? Vi abbandoniamo ai vostri rimorsi, o piuttosto alla vostra rabbia impotente. Ecco dunque i responsabili di tutti i nostri mali! Generazioni future, potrete crederlo! Ecco quelli che tenevano nelle loro mani, che bilanciavano i destini dell’Europa. È al servizio di questo manipolo di ladri codardi, è per il piacere di queste scellerate teste coronate, che il sangue di un milione, di due milioni d’uomini, di cui il peggiore valeva più di tutti voi, è stato versato dovunque nel continente e oltre i mari. È in nome, o per ordine di questa ventina di animali feroci, che intere province sono state devastate, città popolose ridotte in macerie, innumerevoli famiglie violate, spogliate e ridotte alla fame. Questo infame gruppo di assassini politici ha tenuto in scacco le grandi nazioni, ha messo gli uni contro gli altri i popoli fatti per essere amici e nati per vivere come fratelli. Eccoli i macellai di uomini in tempo di guerra, i corruttori della specie umana in tempo di pace. È dal seno di questi essere immondi che esalava nelle città e nelle campagne il contagio di tutti i vizi; esistette mai una nazione avente allo stesso tempo un re e dei costumi civili?

Il papa.                                                                                                                Non c’erano costumi a Roma!… i cardinali non hanno affatto costumi civili!…

Il sanculotto francese.                                                                                     E questi orchi trovavano panegiristi e sostenitori! I preti non donavano al loro Dio che i resti dell’incenso che bruciavano ai piedi del principe; e gli schiavi vestiti di livree tessute d’oro si pavoneggiavano e si credevano importanti quando dicevano: il re mio signore… più di cento milioni di uomini hanno obbedito a questi mediocri tiranni, e tremavano pronunciando i loro nomi con santo rispetto. Era per procurare gioia a questi mangiatori d’uomini che il popolo, da mattino a sera, e da una fine dell’anno all’altra, lavoravano, sudavano, si sfinivano. Razze future! Perdonereste ai vostri cari questi eccessi di svilimento, di stupidità e di abnegazione di se stessi? Natura, affrettati di completare l’opera dei sanculotti; sputa il tuo fiato infuocato su questa feccia della società, e fai tornare per sempre i re al nulla dal quale non avrebbero dovuto mai uscire. Facci tornare anche il primo di noi che d’ora in poi pronuncerà la parola re senza accompagnarla con imprecazioni che l’idea corrispondente a questa parola infame significa naturalmente a ogni spirito repubblicano. Da parte mia, m’impegno a cancellare immediatamente dal libro degli uomini liberi chiunque in mia presenza inquinerà l’aria con un’espressione favorevole a un re, o con un’altra mostruosità di questo tipo. Compagni, giuriamolo tutti, e torniamo alle barche.

I sanculotti. (allontanandosi)                                                                              Noi lo giuriamo!… viva la libertà! Viva la repubblica!

Scena VI

I re d’Europa

Francesco II.                                                                                                Come ci trattano, buon Dio! Con quale infamia! E che diventeremo?

Guglielmo.                                                                                                            O mio caro Cagliostro, che ne è di te qui? Ci leveresti d’imbarazzo.

George.                                                                                                                Ne dubito: cosa ne pensate Santo Padre? l’avete tenuto molto tempo prigioniero in Castel Sant’Angelo.

Braschi o il Papa.                                                                                          Non avrebbe potuto nulla contro tutto ciò. Avremmo bisogno di qualcosa di sovrannaturale.

Re di Spagna.                                                                                                        Ah! Santo Padre, un piccolo miracolo.

Il Papa.                                                                                                                Non è più il tempo… dov’è il buon tempo in cui i santi attraversavano l’aria a cavallo di un bastone.

Il re di Spagna.                                                                                                 Oh mio genitore! Oh Luigi XVI! Sei ancora tu che hai avuto il lotto migliore. Una brutta mezz’ora è passata presto! Ora tu non hai più bisogno di niente. Qui ci manca tutto: siamo tra la carestia e l’inferno. Siete voi Francesco e Guglielmo che ci attirate tutto ciò. Ho sempre pensato che questa rivoluzione di Francia, presto o tardi, ci avrebbe giocato un brutto tiro. Non dovevamo immischiarci per niente, per niente.

Guglielmo.                                                                                                           Vi si addice bene, re di Spagna, di incolparci; non sono le vostre lentezze ordinarie che ci hanno perduto. Se tu ci avessi seguito al momento opportuno questo sarebbe rimasto un fatto solo della Francia.

Caterina.                                                                                                             Da parte mia, vado a dormire in questa caverna. Invece di rinfacciarci, chi mi ama mi segua… Stanislao, non vieni a tenermi compagnia?

Il re di Polonia.                                                                                          Vecchia Catau, specchiati in questa fontana.

Caterina.                                                                                                           Non sei mai stato così altezzoso.

L’imperatore.                                                                                                      Maledetti francesi!

Il re di Spagna.                                                                                              Questi sanculotti che prima noi disprezzavamo, hanno quindi realizzato il loro disegno. Perché non ho fatto un bel autodafé, per essere d’esempio agli altri.

Il Papa.                                                                                                            Perché non li ho scomunicati dopo il 1789? li abbiamo risparmiati troppo, risparmiati troppo.

Il re di Napoli.                                                                                              Tutte queste riflessioni sono belle, ma arrivano un po troppo tardi. Siamo in galera, bisogna darsi da fare: prima di tutto, bisogna mangiare; occupiamoci, subito, di pesca, di caccia, di aratura.

L’imperatore.                                                                                                      Sarebbe bello vedere l’imperatore della casa d’Austria sarchiare la terra per vivere.

Il re di Spagna.                                                                                    Preferireste piuttosto tirare a sorte per decidere quale tra noi servirà da pasto agli altri.

Il papa.                                                                                                              Non averne abbastanza per fare il miracolo della moltiplicazione dei pani! Non mi stupisco, abbiamo qui degli scismatici.

Caterina.                                                                                                        Senza dubbio questo discorso si riferisce a me: ne voglio avere ragione… in guardia, Santo Padre.

l’imperatrice e il papa si battono, l’una con il proprio scettro e l’altro con la sua croce: un colpo di scettro rompe la croce; il papa lancia la sua chiara sulla testa di Caterina e le fa cadere la corona. Si battono con le loro catene. Il re di Polonia vuole farla finita, togliendo lo scettro dalle mani di Caterina.

Il re di Polonia.                                                                                          Vicina, è abbastanza. Basta! Basta!

L’imperatrice.                                                                                                    Ti conviene di togliermi lo scettro, vile! È per rifarti del tuo che hai lasciato tagliare in tre o quattro pezzi?

Il Papa.                                                                                                        Caterina ti domando grazia, ascoltami: se mi lasci tranquillo ti darò l’assoluzione per tutti i tuoi peccati.

L’imperatrice.                                                                                  L’assoluzione! Fachiro di un prete! Prima che io ti lasci tranquillo, bisogna che tu ammetta e che ripeta dopo di me, che un prete, che un Papa è un ciarlatano, un giocatore di dadi… andiamo, ripeti!

Il Papa.                                                                                                                Un prete… un Papa… e un ciarlatano… un giocatore di dadi.

Il re di Spagna. (in disparte, in un angolo del teatro)
Che scoperta! Ho ancora un resto della razione di pane che mi è stata data in fondo alla stiva. Che tesoro! Non ci sono rupie, ne piastre che valgono un pezzo di pane nero quando si muore di fame.

Il re di Polonia.                                                                                          Cugino che fai là in disparte? Tu mangi mi sembra, ne faccio parte.

l’imperatrice. (e gli altri re si gettano su quello di Spagna per rubargli il suo pezzo di pane).                                                                                          Anch’io, anch’io, anch’io.

Il re di Napoli.                                                                                               Cosa diranno i sanculotti se vedranno tutti i re d’Europa contendersi un pezzo di pane nero?

I re si battono: la terra è disseminata di detriti di catene, di scettri, di corone; i mantelli sono ridotti a cenci.

Scena VII

Gli attori precedenti e i sanculotti.

I sanculotti, che hanno voluto gioire da lontano dell’imbarazzo dei re ridotti alla fame, tornano sull’isola per far rotolare un barile di biscotti in mezzo ai re affamati.

Uno dei sanculotti. (aprendo la botte e spargendo i biscotti)
Tenete pazzi, un po di cibo. Sbafate. Il proverbio che dice: tutti devono vivere, non è stato creato per voi, poiché non c’è alcuna necessità che i re vivano. Ma i sanculotti sono sensibili tanto alla pietà che alla giustizia. Tornate dunque a questo biscotto di mare, finché non vi sarete acclimatati in questo paese.

Scena VIII

I re si gettano sulla galletta

L’imperatrice.                                                                                                   Un momento! Come imperatrice e proprietaria del regno più vasto, mi tocca la parte più grande.

Il re di Polonia.                                                                                       Caterina non ha mai avuto una bocca piccola: ma qui non siamo più a Pietroburgo; a ciascuno il suo.

Il re di Napoli.                                                                                                   Sì! sì! A ciascuno il suo. Questa botte di biscotto non deve assomigliare alla cosiddetta Repubblica di Polonia.

Il re di Prussia dà un colpo di scettro sulle dita dell’imperatrice.

L’Imperatrice.                                                                                               Taci, rapitore della Slesia.

Il Papa.                                                                                                        Signori! Signori! A Cesare quello che è di Cesare.

L’Imperatrice.                                                                                                   Se tu restituisci a Cesare ciò che appartiene a Cesare, piccolo vescovo di Roma!…

L’Imperatore.                                                                                                    La pace, la pace: ce n’è per tutti.

Il re di Prussia.                                                                                                  Si, ma no ce ne sarà a lungo.

Il re di Napoli.                                                                                                  Ma ecco il vulcano che sembra volerci mettere tutti d’accordo: una lava incandescente scende dal cratere e avanza verso di noi. Dei!

Il re di Spagna.                                                                                           Nostra Signora! Aiutami… se mi salvo, mi faccio Sanculotto.

Il Papa.                                                                                                                   E io prendo moglie.

Caterina.                                                                                                                E io passo ai Giacobbini o ai Cordiglieri.

Il vulcano comincia la sua eruzione: getta sul teatro pietre, carboni ardenti,… etc. c’è un’esplosione: il fuoco accerchia i re da tutte le parti; cadono consumati nelle viscere della terra aperta.

Fine

 

 

L’incontro con questo testo teatrale e il suo autore Pierre Sylvain Maréchal è stato del tutto fortuito, è capitato per caso vagando per diverse vie alla ricerca di storie da narrare a sostegno della tesi che vado cucendo sulla vendetta rivoluzionaria, di cui la presente pubblicazione ne è il primo resoconto. Sulle tracce di alcune storie di rivolte contadine e proletarie nell’Europa del trecento, passando per le rivolte francesi della Jacquerie, mi sono ritrovato naturalmente tra i sanculotti di cinque secoli più tardi, e qui ho fatto conoscenza di Maréchal, uno scrittore e poeta protagonista nella rivoluzione francese. Un personaggio interessante, un socialista rivoluzionario, un fervente anticlericale, un precursore del comunismo che redasse il Manifesto degli Eguali (1796) con Gracco Babeuf, con il quale prese parte attivamente alla fallimentare congiura degli Eguali. Maréchal, che curiosamente in tarda età manifesta un carattere misogino, si batteva per una uguaglianza reale e non virtuale come quella scritta sulle carte costituzionali che egli criticava aspramente, per l’abolizione della proprietà privata e per l’uso comune dei beni. Di questo libretto teatrale dal titolo eloquente, la cui prima rappresentazione ebbe luogo il 18 ottobre del 1793, a pochi giorni dall’esecuzione di Maria Antonietta, non dico nulla, dice tutto e chiaramente da se: l’isola deserta, il vulcano, il buon selvaggio non hanno bisogno di spiegazioni. Riporterò invece una testimonianza diretta di un attore “nero” emarginato…

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