L’esausto

L’esausto
2007 admin
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L’esausto

Durante un incontro presentato nell’ambito delle conferenze sulla metropoli presso la Facoltà di Architettura di Roma Tre, Folci ha proposto una performance dal titolo L’ESAUSTO (2006). Francesco Ghio,  professore di Architettura della Facoltà dove la performance ha avuto luogo, ha accettato la sfida che l’artista gli ha richiesto, e ha recitato la parte dell’esausto. Dinanzi alla cattedra su cui era distesa una carta dell’Europa, sopra la quale erano posti un microfono e la riproduzione in terra cruda dell’asinello Baltazar riverso sul parto nei suoi ultimi istanti di vita, l’esausto non riesce a prendere parola, annaspa, ma non conclude frase alcuna. L’esausto non riesce più a possibilizzare e non ha più fiato da articolare in parole. Dopo numerosi tentativi di proferire un discorso al pubblico attonito improvvisamente dei bambini entrano da una porta laterale e lo picchiano con veemenza, gridando un capoverso di Peggio tutta di Beckett.
“Meno ottimo. No. Niente ottimo. Ottimo peggio. No. Non ottimo peggio. Niente non ottimo peggio. Meno ottimo peggio. No. Minimo. Minimo ottimo peggio. Minimo che non può essere mai niente. Che non può essere al niente portato. Che non può essere dal niente annientato. Inannientabile minimo. Dire questo ottimo pessimo. Con parole che mimano dire minimo ottimo peggio…………………………Lacune per quando parole andate.”
Nella performance i personaggi dell’asino e dell’architetto non sono casuali. L’asino è un simbolo che da sempre ha una valenza piuttosto ambigua: nella tradizione cristiana da una parte viene demonizzato e dall’altra divinizzato, i suoi particolari zoccoli e il suo carattere terreno lo hanno confinato nella zona del maligno, ma al contempo le sue doti cristiane di sopportazione del lavoro e della fatica hanno spinto la sua immagine in un simbolismo più prossimo al divino. L’asinello di Bresson riproduce pienamente questa duplice valenza: da un’infanzia felice fino alla vera e propria venerazione, finisce per essere sfruttato fino all’esaurimento, per poi morire in una valle, accolto da un gregge di pecore, ucciso per errore dal proiettile di una guarda di frontiera sparato contro dei contrabbandieri
L’asino, deposte le sue virtù cristiane di sopportazione e umile accettazione del dolore è la figura penultima. La morte sulla scia del pensiero nietscheano non è ritorno all’inorganico ma prospettiva di trasformazione e trasmutazione dei valori di cui l’asino si fa carico. E l’asino deve inesorabilmente morire per poter divenire fanciullo e assumere il caso come divinità e capacità di dire sì alla vita, un sì che può desiderare sempre ancora altre volte lo stesso.
Anche l’asinello di Nietsche nello Zarathustra ricalca la simbologia del Cristianesimo: l’asino del filosofo è il nichilista che sa dire solo sì (I-A) facendosi carico dei fardelli più pesanti. Il sì dell’asino deve trasmutarsi nel sì dionisiaco, perchè il sì dell’asino è un falso sì, il sì di chi non è capace di dire no. La performance combina la figura dell’asino con quella dell’architetto allibito davanti alla desolata carta geografica dell’Europa centro-orientale, attraversata solo da un asino morto. L’architetto, esausto, autore di edifici sia materiali che concettuali, rappresenta la constatazione del fallimento di un pensiero modernista naufragato nel nichilismo occidentale: viene assalito da un branco di bambini, questi fanciulli in branco richiamano il fanciullo nietscheano, la figura chiave per il superamento del nichilismo reattivo.
L’operazione di Folci si ispira deliberatamente al testo L’esausto di Deleuze su Beckett, in cui il filosofo ha individuato nell’esausto la figura limite che si ostina ad esaurire il possibileIl tema dell’esaurimento (esaustività) nelle opere di Beckett, ci dice Deleuze, “si accompagna ad un certo esaurimento fisiologico.”(G. Deleuze, 1999, p.7). L’esausto non è stanco. Lo stanco è tale perché si è dato da fare nel perseguire uno scopo, l’esausto è esausto dal nulla. L’esausto non può mettere in atto alcun possibile perché ciò sarebbe come avere una preferenza o uno scopo. L’esausto ha smesso di avere preferenze, fini e bisogni. L’esausto ha una natura diversa dallo stanco, ha rinunciato a qualsiasi preferenza; lo stanco possiede ancora la forza di sdraiarsi e dormire, seguire uno scopo, l’esausto ha esaurito il possibile e non si lascia sdraiare; l’esausto se ne rimane seduto “le due mani e la testa fanno un mucchietto” (G. Deleuze, 1999, p.13).  Non è che l’esausto non faccia nulla, al contrario deve occuparsi di molte cose inutili e della loro segmentazione nello spazio e nel tempo. I gesti dell’esausto non derivano dal bisogno, da un significato particolare o da uno scopo, nell’esausto vi è un esaurimento del possibile attraverso tabelle e programmi privi di senso. “Quel che conta per lui è in che ordine fare quel che deve fare, e secondo quali combinazioni fare due cose contemporaneamente, quando fosse necessario, per nulla.” (G. Deleuze, 1999, p.13)
L’architetto esausto non riesce nemmeno a cominciare, non è abbastanza sicuro se vuole cominciare, o forse ha troppe tabelle e programmi dei quali, proprio nell’atto di prendere parola, percepisce il non senso. L’esausto di Folci è anche disorientato, rimanda all’immagine dell’essere umano come neotenico, ovvero come infante cronico, che non ha mai imparato abbastanza, la cui esistenza corrisponde con uno stato di apprendimento e mutamento continui.

 

testo di Marta Roberti, tratto da: Lavorare parlando. parlare lavorando. il linguaggio messo al lavoro nelle opere di Mauro Folci
 
Facoltà di Architettura Roma 3 – Corso di Perfezionamento in Arte
Architettura e Territorio. Progetto interfacoltà a cura di Complotsystem, Roma 2008

 

L’esausto, l’esaurito, lo sfinito…in Beckett si esaurisce il linguaggio, si esaurisce il corpo e si esaurisce lo spazio però non si giunge alla fine; l’esausto che esaurisce ogni combinatoria non è la fine, predispone alla fine. Per Deleuze l’esausto è una figura del ‘penultimo’, non è l’ultima ma è l’immagine che precede la fine. E’ tutto esaurito ma non è ancora finito. Così possiamo dire, a proposito dell’ Europa che ha pensato il nichilismo, che l’esausto come figura limite suggerisce, nel mostrarsi come esaurimento di ogni combinatoria della tradizione […]

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